Lavorare a Caltanissetta: intervista a Francesca Inserra
Nei giorni scorsi, un bando pubblico per la selezione di un collaboratore culturale disposto a lavorare gratuitamente nella gestione di palazzo Moncada e del museo Tripisciano ha destato molte polemiche per la gratuità richiesta nello svolgere un’attività che è lavorativa a tutti gli effetti. Questo bando, insieme ad altri episodi, ha fatto riemergere i nodi irrisolti di questioni drammatiche nella nostra provincia: la mancanza di lavoro e la qualità dell’occupazione che viene offerta. All’inizio del mese, il tragico omicidio di Adnan Siddique faceva balzare agli onori delle cronache il fenomeno del caporalato in agricoltura e il grande esodo dei giovani da Caltanissetta la dice lunga sulle possibilità di costruirsi un futuro nel nostro territorio. Chi non ha un lavoro spesso non sconta solo la mancanza di risorse ma è soggetto a pregiudizi anche in un territorio difficile come il nostro, e se il reddito di cittadinanza non convince per parecchie ragioni, sarebbe un errore puntare il dito contro chi ne usufruisce. Abbiamo chiesto a Francesca Inserra di dirci la sua opinione in merito a questi temi.
Inizierei col chiederti quanti anni hai, se vivi a Caltanissetta e il tuo titolo di studio. Se puoi aggiungere se lavori e che lavoro fai, e se vivi sola o meno…
«Ho 38 anni, vivo a Caltanissetta e sono laureata in Scienze dell’Amministrazione e Organizzazione alla facoltà di Scienze Politiche di Catania. Vivo con mia madre e mia sorella, attualmente sono disoccupata».
Posso chiederti quanti anni avevi quando hai iniziato a cercare lavoro per la prima volta? In quale settore lo hai cercato? Hai sempre lavorato in un determinato settore oppure hai lavorato in tanti ambiti e quali…
«Ho iniziato a cercare lavoro subito dopo il diploma (Ragioniera e perito commerciale sezione sperimentale IGEA). Non trovando nell’immediatezza un impiego, ho cercato di ottimizzare il mio tempo, iscrivendomi in corsi di formazione: Web Designer, Esperto in Gestione d’Impresa Onlus, ecc.
Compravo il giornale “Sponsor” per trovare lavoro e ho iniziato lavorando in un rudimentale call center. In seguito venditrice di libri porta a porta, consulente energia elettrica business, Servizio Civile e poi per quasi 15 anni ho lavorato nei call center nisseni, ovviamente “contratti precari”».
Mi racconteresti i pro e i contro della tua esperienza lavorativa, a Caltanissetta? Se puoi parlarmi, cioè, degli ambienti, del rapporto con i colleghi e con il datore, o i datori, di lavoro, della remunerazione, se adeguata o meno…
«Nel mondo del precariato la situazione lavorativa non è mai rosea, non devi dare il 100% al lavoro, ma il 150% senza mai perdere colpi, altrimenti sei fuori.
Quando iniziai a lavorare la remunerazione era basata sulle vendite effettuate o contratti stipulati. Da quando è entrata in vigore la riforma Fornero, con la quale si stabiliva una paga oraria, la situazione è leggermente migliorata, anche se il calcolo è sempre stato al disotto della media nazionale.
Il lato positivo è stato quello di conoscere alcune persone valide, colleghi e non. Ricordo i gruppi di lavoro di cui ho fatto parte, ci si aiutava, si rideva, si scherzava, si cercava di creare una umanità in un ambiente dove vinceva il più “forte”».
Hai mai pensato di cercare un lavoro fuori? Nel Nord Italia, ad esempio, oppure in un’altra provincia. Quali sono, secondo te, gli svantaggi dell’andare a vivere in un altro posto…
«Andare al Nord significherebbe sobbarcarsi dei costi (vitto e alloggio) insostenibili per chi è disoccupato. Aggiungo che la Sicilia è la mia terra e lasciarla mi arrecherebbe grande sofferenza. Ammiro chi sa stare lontano (ovviamente per necessità)».
Ti è mai capitato di fare un colloquio di lavoro? Secondo te, un colloquio di lavoro per essere ritenuti idonei o meno a un determinato incarico ed essere quindi valutati, può essere, in sé, una esperienza pesante, anche traumatica, che una si porta dietro e che scoraggia a farne altri?
«Io ho sempre fatto colloqui, formazione per la selezione, ecc. Il problema è che molte volte chi fa il colloquio non è idoneo per quel compito, scambiando “un esame conoscitivo” in un manifesto aziendale dove fin da subito si chiarisce chi comanda. Capisco che chi è più sensibile potrebbe traumatizzare e potrebbe scoraggiare, ma per quanto mi riguarda queste esperienze mi hanno aiutato a rafforzare ulteriormente il mio carattere. Se cado, mi rialzo e vado avanti».
Quali sono gli aspetti più difficili da vivere quando non si ha un lavoro? Sono aspetti legati alla mancanza di risorse o c’è anche dell’altro?
«Per chi non ha un lavoro e non ha nessuno aiuto, gli aspetti difficili riguardano principalmente la mancanza di risorse. A parte il reddito di cittadinanza che sta dando una boccata di ossigeno, per il resto nulla.
Faccio un esempio: chi è disoccupato ha l’esenzione ticket, chi è inoccupato non è esente, quindi chi è inoccupato e percepisce Rdc dovrebbe: pagare la casa (se è in affitto); pagare le utenze (acqua, luce, gas, tari, ecc. ecc.), ticket per le visite mediche, ticket sui medicinali e possibilmente fare la spesa.
Non è trascurabile l’aspetto psicologico: è molto dura vivere non potendo fare cose che per altri rientrano nella norma (comprare un elettrodomestico che si rompe, sistemare la casa, andare a cena fuori, fare una vacanza, ecc.). Per non parlare di chi ti punta il dito contro facendoti sentire un inetto, solo perché usufruisci di un diritto».
Veniamo alla questione più dibattuta oggi, quella del reddito di cittadinanza. A te questa misura, com’è concepita, piace? A lungo termine sarà efficace? Esistevano misure più risolutive per affrontare il nodo della mancanza di lavoro in Italia? Come avrebbe potuto agire il governo?
«Questa legge potrebbe essere migliorata, ovviamente con il passare del tempo si capiranno i punti di forza e i punti deboli, è normale. Si è partiti da zero, quindi in corso d’opera si potrà trovare qualche miglioria.
Personalmente partirei col rendere più efficace ed efficiente il centro per l’impiego, modernizzandolo e rendendolo più reattivo all’incontro tra domanda e offerta, togliendo lo spauracchio del “o accetti tutto quello che ti proponiamo, in qualsiasi luogo ti spediamo, o ti togliamo il sussidio”. Non è questo il giusto modo per incentivare le persone al lavoro.
Dall’altra parte è stata una legge rivoluzionaria, finalmente si dà una dignità a chi non ha lavoro o a chi l’ha perso, togliendo ossigeno a chi si approfittava di questo disagio, per proporre lavori più sotto pagati e senza diritto, con il ricatto “o questo o muori di fame”».
Prima del reddito di cittadinanza, non esisteva il reddito di inclusione? Attualmente, chi percepisce il reddito di cittadinanza offre lavoro in cambio? Soprattutto, non credi che alla lunga si rischierebbe, attraverso il reddito, di creare assistenzialismo e clientele? In ultimo, vi sono stati diversi casi di percettori di reddito che continuavano a lavorare in nero. Non pensi, quindi, che una misura teoricamente utile a rendere i lavoratori non più ricattabili venga usata contro di loro, per stabilizzare una realtà come quella del lavoro nero?
«Prima c’era il REI o altri sussidi comunali, ma i fondi erano molto limitati, quindi la maggioranza era esclusa. Non capisco perché solo per noi italiani un aiuto venga associato ad assistenzialismo. In altri paesi europei, questo problema non se lo pongono. Noi italiani, che abbiamo il più alto numero di disoccupati, con famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà, stiamo a sindacare se è o non è assistenzialismo?! Anche i sussidi comunali lo erano, facendo lo stesso ragionamento. Almeno con il Rdc c’è anche un impegno per trovare un impiego».
Veniamo ad un’altra questione che riguarda i percettori del reddito ma, in generale, chi un lavoro non lo trova. Secondo te, si può parlare di scansafatiche, di persone che non hanno voglia di far nulla? Da quello che hai potuto osservare, anche in rapporto ad amici o amiche disoccupati, sapresti descrivere sinteticamente, anche con un semplice aggettivo, chi non ha un lavoro e motivare poi la tua risposta?
«In Germania, il sussidio ha una durata illimitata (per tedeschi, europei, rifugiati politici) con un compenso di 400 euro mensili (s’incrementa in base al numero di figli), con formazione e ricerca di lavoro.
In Francia 400 euro al mese, erogati anche nel caso in cui il percettore trovi un’occupazione remunerata in misura non sufficiente. In Danimarca l’importo dell’assegno condizionato è di 1300 euro al mese. Potrei continuare, ma mi dilungherei troppo, era semplicemente per fare un excursus parziale di altri Paesi che applicano misure di sostegno a chi vive un momento d’inattività.
In Italia (Paese con il più alto tasso di disoccupazione) invece questo viene visto come il “male assoluto”. Mancano lavoratori in alcuni ambienti lavorativi (molte volte sono solo proclami per screditare i percettori) la colpa è del Rdc, nessuno invece fa una riflessione su quanto venivano remunerati, sulle loro condizioni lavorative e sulle tutele che avevano.
L’italiano medio è affetto da “tafazzismo” (Tafazzi era un personaggio interpretato da Giacomo, del trio di Aldo, Giovanni e Giacomo, famoso per darsi delle bottigliate al basso ventre e gioirne). Quindi invece di ribellarsi per la morte del diritto del lavoro, per una sanità pubblica sempre più azienda (Asl), per un’istruzione settoriale (Regioni più ricche più sovvenzioni, le più povere si devono arrangiare), non trovano di meglio che attaccare chi percepisce un sussidio, in siciliano si direbbe u muru vasciu, troppo comodo e da vigliacchi.
Il reddito di cittadinanza, come ho detto prima, ha messo un punto fermo: non s’è più disposti a farsi schiavizzare. È opportuno, per i datori di lavoro, iniziare a quantificare il lavoro svolto e di retribuirlo in maniera adeguata, no di accusare un sussidio, da sempre attivo in quasi tutti i Paesi europei».
Dal punto di vista lavorativo, Caltanissetta è un vero e proprio stagno. I giovani vanno via e i ragazzi che rimangono si imbattono in mille ostacoli. Secondo te c’è una causa che incide più di altre nel determinare questa situazione? C’è, infine, un rimedio a questa situazione di stallo? Quale?
«Mancano infrastrutture, essenziali per il commercio e quindi per la creazione di posti di lavoro. Non abbiamo ancora una rete idrica idonea per poter far nascere nuove aziende e neanche un’adeguata retribuzione in linea con il CCNL (in qualsiasi campo). Infine abbiamo poche idee imprenditoriali e quel poco che c’è, non è adeguatamente sostenuto dallo Stato, Regione, ecc.».
È meglio avere il reddito o tornare a lavorare?
«Tornare al lavoro, ovviamente se è retribuito adeguatamente. Più lavoro significa più libertà, più indipendenza e quindi più democrazia».
Una che peli sulla lingua non li tiene. se deve dire le cose come stanno Francesca. e una di quelle.che le dice e cerca di farle capire. con la sua dolcezza. e simpatia una bellissima Intervista con risposte condivise in pieno. dalla mia persona complimenti Francesca
Grazie