27 Luglio 2024
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Da SanPa a Terra Promessa: due chiacchiere con Giorgio De Cristoforo, presidente di Casa Rosetta

La comunità terapeutica Terra Promessa. Le foto sono tratte dal sito www.casarosetta.it
Da sinistra: Giorgio De Cristoforo e Vincenzo Sorce

SanPa. Luci e tenebre di San Patrignano è la docuserie in cinque puntate in onda sulla piattaforma Netflix a partire dal 30 dicembre scorso. Ideata da Gianluca Neri e sceneggiata dallo stesso insieme a Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli, per la regia di Cosima Spender, in poco tempo è diventata uno dei titoli più visti, in grado di riportarci negli anni Ottanta e di alimentare un dibattito a toni anche molto forti e con dure prese di posizione, pro o contro l’operato di Vincenzo Muccioli. Guardando la comunità che si è sviluppata nel riminese non si può non pensare ad un’altra grande realtà che ha invece preso piede a Caltanissetta, fondata da padre Vincenzo Sorce. L’associazione Casa Famiglia Rosetta oggi conta più di duecento lavoratori e lavoratrici in provincia e fuori ed è una realtà complessa e differenziata dove il recupero delle persone tossicodipendenti è solo uno dei servizi che vengono proposti. Presente anche in Africa e in Brasile, grazie al progetto terapeutico di “Terra Promessa” l’associazione Casa Famiglia Rosetta è da molti anni partner dell’agenzia ONU per la lotta alle tossicodipendenze e oggi riferimento e sede ISSUP (Società Internazionale dei Professionisti della Prevenzione e del Trattamento per l’uso di Sostanze) per l’Italia. Abbiamo intervistato Giorgio De Cristoforo, succeduto alla presidenza dell’associazione dopo la morte di padre Sorce, per saperne un po’ di più e per capire quali sono le differenze e le analogie fra le due realtà. Un fatto, in entrambi i casi, balza agli occhi: l’inadeguatezza dello Stato di fronte al fenomeno.

Vedendo Sanpa, chi vive a Caltanissetta non può fare a meno di pensare alla realtà fondata da Vincenzo Sorce. Quando e in quale occasione nasce Casa Famiglia Rosetta?

«Casa Rosetta nasce negli anni Ottanta per dare risposta su più versanti al disagio sociale ed è lo sviluppo di un impegno che Vincenzo Sorce si diede nel momento della sua ordinazione sacerdotale, nel 1970. Casa Rosetta nasce nel 1985 e Terra Promessa pressappoco nello stesso periodo».

Perché l’associazione si chiama Rosetta?

«Rosetta era una signora malata di sclerosi multipla e madre di tre figli. Vincenzo Sorce abitava nel vecchio monastero di Santa Flavia e nel quartiere i volontari accudivano alcune persone diversamente abili. Seguendo questi volontari, padre Sorce pensava di fare qualcosa di più. Nasce così il centro di riabilitazione per adulti e bambini diversamente abili. In Belgio, Vincenzo Sorce contatta il dottor Jean Lerminiaux, neuropsichiatra infantile, per assicurare la formazione migliore agli operatori e alle operatrici del centro. La comunità terapeutica per tossicodipendenti Terra Promessa nasce poco dopo».

Perchè nasce Terra Promessa?

«Vincenzo Sorce lo spiega nel suo libro Il coraggio di osare: un prete dal tempio alla strada (Paoline, 1995). Lui insegnava Religione all’Istituto per Geometri. Un giorno andò a trovarlo, a casa dei suoi vecchi genitori, un ragazzo accompagnato dal padre. Il ragazzo si chiamava Lorenzo ed era uno dei bambini che padre Sorce avrebbe voluto avviare in seminario. Ma Lorenzo era diventato dipendente dall’eroina ed entrambi, padre e figlio, gli chiedevano aiuto. Lui non sapeva come aiutarli e così decise di fare qualcosa anche per occuparsi di questi problemi».

Come nasce la vostra amicizia e, parafrasando il libro curato da Calogero Caltagirone, Vincenzo Sorce che prete era?

«Poche settimane dopo la sua ordinazione sacerdotale, il vescovo Garsia gli chiese di occuparsi della comunicazione della curia. Mi venne a trovare al giornale e mi incuriosì. Anch’io lo incuriosii ed empatizzammo. Andai a trovarlo a Santa Flavia e da questi incontri nacque un’amicizia fraterna. «Giorgio è il mio confessore laico» diceva spesso. Abbiamo avuto anche delle ostilità, certo. Questo prete, che non faceva il parroco, qualcuno lo definì “prete manager”. Ma Vincenzo Sorce era un innovatore: voleva andare oltre e non si rassegnava alla mediocrità. Uno dei suoi modelli era Don Milani, al quale dedicò anche un libro».

Da allora Casa Rosetta è molto cresciuta. Cosa glielo ha permesso e qual è il metodo utilizzato a Terra Promessa per affrontare la dipendenza da droghe?

«Casa Rosetta crebbe e riuscì ad affermarsi perché Vincenzo Sorce cercava i suoi interlocutori fuori da Caltanissetta. Il modello che sentiva più vicino era il «Progetto uomo» di don Mario Picchi, del Centro Italiano di Solidarietà (CEIS). Picchi aveva importato il metodo americano di monsignor O’ Brien, Day Top. Io e Vincenzo Sorce andammo negli Stati Uniti e scoprimmo che il metodo non era incentrato sulla dipendenza fisica ma sulla persona. Il problema era il vuoto di senso che provavano le persone cadute nella droga. Monsignor O’ Brien mandò esperti a Caltanissetta e qui il Day Top è stato rielaborato in maniera originale. La rielaborazione di questo modello è stata fatta sempre col supporto di operatori di alto profilo. La dipendenza da alcol si affrontò col metodo dello psichiatra slavo Vladimir Hudolin. Vincenzo diceva «Casa Rosetta poggia su tre pilastri»: l’impegno nei confronti degli ultimi, la spiritualità e la formazione. Non siamo un’associazione confessionale perché, a Casa Rosetta, il culto non si impone a nessuno. Spiritualità significa richiamo al senso della vita e ai valori fondamentali dell’esistenza».

Attraverso la visione di Sanpa e prima ancora, ricordando le cronache degli Ottanta, mettendo a confronto i due Vincenzo, agli occhi dell’osservatore comune può apparire un’analogia: la figura autoritaria del “grande padre” al quale affidare la propria salvezza, che è il fallimento di famiglia e istituzioni e che confonde cura e punizione…

«Il modello reclusorio di San Patrignano non è il nostro. Lavoriamo d’intesa con i SerD (Servizi per le Dipendenze) e con loro vengono definiti i trattamenti, che prevedono anche l’utilizzo di farmaci. Il discrimine fondamentale è il rispetto della persona anche nei momenti più critici. Sorce aveva studiato Pedagogia e non aveva improvvisato. Casa Rosetta conta sull’aiuto di esperti che vengono a supervisionare dall’esterno e la formazione è uno dei pilastri più importanti. San Patrignano ha una storia diversa e nasce, tra l’altro, con sostegni economici molto forti. Casa Rosetta non ha mai avuto sostegni economici significativi ma riceve piccoli contributi da parte di volontari. Anche se non si tratta di grosse cifre, questi contributi sono molto importanti sul piano simbolico. La chiesa ci aiuta concedendoci Villa Ascione (sede operativa di Terra Promessa) in locazione a condizioni favorevoli e ci siamo sempre sostenuti grazie a convenzioni con il servizio sanitario e ad aiuti da parte di organismi internazionali, oltre che con una gestione oculata e attenta. La nostra pietra angolare è l’ascolto e nessuno è portatore di verità rivelate. L’operare insieme per costruire un insieme è il nostro obiettivo».

In passato l’associazione ha dovuto affrontare il problema dei ritardi nel pagamento degli stipendi agli operatori. Un problema che balzò agli onori delle cronache con un articolo apparso sul settimanale “Centonove” …

«La mia priorità è sempre stata ed è il rapporto con i dipendenti. Anche per questo ho cercato di contenere i programmi di sviluppo e di mettere in equilibrio i conti, cercando di pianificare l’alleggerimento dell’indebitamento e i pagamenti delle retribuzioni avvengono da tempo con regolarità».

Quanti sono, in percentuale, i casi di buona riuscita della disintossicazione? La comunità segue l’inserimento delle persone che escono o, una volta usciti, ritornando nello stesso ambiente ripiombano nel problema?

«Le persone che escono dal programma, se non hanno una rete familiare o sociale che può accoglierle e accompagnarle, possono più facilmente ricadere nella dipendenza. Non ho dati a riguardo ma se uno su due non ricade è già un risultato importante. Ho promosso la costituzione di una cooperativa sociale per creare occasioni di lavoro per le persone che escono, ma non è facile perché il nostro contesto territoriale non lo è. Abbiamo partecipato ad un bando della Fondazione per il Sud per un progetto di formazione e attività di giardinaggio e orticoltura. Il progetto partirà in primavera e i partecipanti potranno avviare una formazione remunerata. La mia aspirazione è quella di poter realizzare qualcosa in un terreno che padre Sorce aveva acquistato, in contrada Draffù, a Sommatino: ad esempio progetti di pet therapy e piccole attività di coltivazione e trasformazione di prodotti agricoli».

Lei è anche un giornalista molto conosciuto e di lungo corso, quindi un osservatore attento della realtà. Si ricorda gli anni in cui l’eroina arriva a Caltanissetta e le reazioni della piccola città di provincia di fronte al fenomeno? Oggi, la situazione è migliore o peggiore di allora?

«Oggi l’eroina è quasi marginale e le droghe più diffuse sono il crack, la cocaina e le nuove sostanze immesse sul mercato. Il fenomeno è meno visibile di allora e i comportamenti più dissimulati. Uno dei rischi peggiori è una certa assuefazione della società degli adulti a questi fenomeni. Non serve dire legalizziamo o no, perché le dipendenze nascono soprattutto da cause familiari, da abitudini comportamentali che si acquisiscono nelle famiglie. Oggi si registra una precocità sempre maggiore nell’approccio alle droghe e dai Settanta la situazione è peggiorata perché si è ridotta la consapevolezza del rischio. Oggi tra i ragazzi la droga è la pasticca e la nuova generazione è esposta al rischio di sostanze più dannose di quelle che circolavano trent’anni fa. In proiezione, tra trent’anni, quale sarà la condizione psicofisica di queste persone? Oggi facciamo prevenzione cercando l’approccio con piccoli gruppi e soprattutto con i genitori. Il futuro dei figli è nelle loro mani e l’indulgenza non serve».

Quale fu, secondo lei, se ci fu, la reazione dello Stato? Si può dire che le istituzioni non abbiano voluto affrontare il fenomeno, lasciandolo alla buona volontà dei privati? E oggi, sono più presenti?

«Lo Stato ha delegato, secondo il principio della sussidiarietà, ma, ad un certo punto, non ha fatto più nulla. La legge che regola il comparto è del 1990, e per molti aspetti anacronistica. E il risultato è che la società va avanti e le risposte dei presìdi sono sempre meno adeguate e più marginali, nonostante la grande competenza e passione di chi, nei SerD, fa il proprio lavoro. La sanità fa quello che può ma lo Stato è in ritardo e la Conferenza nazionale sulle droghe non si tiene più da undici anni! In tutta la Sicilia ci sono novecento posti in comunità a fronte di cinquantamila dipendenti patologici. La droga oggi non è considerata più una diffusa emergenza sociale mentre invece lo è».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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