27 Luglio 2024
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«C’è una resistenza civile pronta a non tacere»: Claudia Cammarata in difesa di Silvia Romano

Claudia Cammarata

Ancora reazioni di sdegno per le frasi pronunciate da pezzi delle istituzioni, testate giornalistiche e cittadini comuni nei confronti di Silvia Romano, la cooperante italiana finalmente a casa dopo una prigionia durata oltre cinquecento giorni. Questa volta, riceviamo e pubblichiamo l’intervento della presidente di Attivarcinsieme, Claudia Cammarata:

«Credo che non ci sia qualcosa di non detto, in questi ultimi concitati giorni. Abbiamo ascoltato e letto di tutto: parole su parole, insulti su insulti, supposizioni, domande fatte con la presunzione di conoscere la verità e risposte date senza conoscere né i fatti né la verità. Senza coscienza, senza empatia. Senza responsabilità. L’argomento sulla bilancia è, però, uno solo: quello della libertà.

Il vero nodo della questione è il grado di libertà di questo paese e non perché ci sia qualcuno che imponga con la forza delle armi un pensiero unico. È la forza impetuosa delle parole che precetta e condanna, che solleva e consola. La liberazione di una giovane donna di ventiquattro anni tenuta in ostaggio per diciotto mesi avrebbe dovuto essere motivo di gioia da parte di tutti. Non possiamo non immedesimarci in lei o nei suoi familiari, è impossibile: abbiamo tutte e tutti una madre, molti hanno figlie, sorelle, nipoti, amiche. Sarebbe bastato il semplice ed istintivo senso di appartenenza allo stesso genere umano per sentirsi sollevati e felici per la liberazione di Silvia Romano o di qualunque altra persona alla quale è stato negato il diritto di vivere la propria vita in libertà e con la dignità che le è propria. Invece, non solo comuni cittadini e cittadine, ma anche testate giornalistiche e membri delle istituzioni hanno fatto di questa giovane donna lo strumento per inveire contro l’operato di un governo, contro gli appartenenti a una religione, quella islamica (voglio ricordare che in Italia vivono circa due milioni di musulmani).

Questo non è fare opposizione. L’opposizione, in un Paese civile, è costruzione, non distruzione. È confronto, sollecitudine, proposta: è l’essenza della democrazia. Ma deve essere condotta ed esercitata con rispetto e responsabilità. Quando un membro del Parlamento, il luogo più alto della democrazia, si rivolge a una connazionale, o a chiunque, con le parole che mercoledì ha pronunciato in aula l’On. Alessandro Pagano, allora quel senso di rispetto e di responsabilità viene meno, così come viene meno l’impegno che chi è stato eletto ha nei confronti dello Stato e dei cittadini/e.

Lo Stato, i suoi organismi e le singole persone che ne fanno parte devono essere garanti delle libertà dei cittadini, di tutti i cittadini e cittadine, a prescindere dal loro credo religioso e politico, a prescindere dalle scelte personali. Lo sancisce chiaramente la nostra Costituzione, scritta con la mano tremante di chi ha conosciuto l’assenza della democrazia e, allo stesso tempo, con la mano ferma di chi non ammette altre derive autoritarie.

Sì, in gioco c’è la libertà di Silvia Romano, che rappresenta la libertà di ciascun cittadino e cittadina che non può sentirsi dare del “neo terrorista” perché ha scelto (a maggior ragione se non ha scelto) di appartenere a un credo piuttosto che a un altro. Oggi alla gogna c’è Silvia. Domani nella sua posizione potrebbe ritrovarsi chiunque, a qualsiasi livello, soltanto perché assume una posizione, un pensiero che a qualcuno non piace e non condivide. Fuori dai ranghi.

Il mio augurio lo rivolgo, adesso, a chi ha infangato Silvia e gli italiani e italiane attraverso le istituzioni e i mezzi di informazione in questi ultimi giorni: spero vivamente che possano comprendere la portata del male che hanno causato e che rischiano ancora di causare. Se non lo fanno da soli c’è una resistenza civile pronta a non tacere, che ha già preso una posizione e la ribadirà ancora più forte per (re)stare dalla parte di Silvia e di chiunque si trovi ad essere violato, vilipeso e condannato per la propria libertà».

 

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