27 Luglio 2024
L'opinione

Quell’assurdo primato dell’economia mentre il mondo muore. Riflessioni di Sonia Zaccaria sul Primo maggio

Sonia Zaccaria

Riceviamo e pubblichiamo una nota sul Primo maggio di Sonia Zaccaria, docente di Filosofia e Storia e presidente del Comitato scientifico della rivista “Studi storici siciliani”:

«Dopo la festa della liberazione dal nazi-fascismo e prima della festa della Repubblica, come una trave portante della dignità umana, festeggiamo il lavoro.  È una festa istituita antecedentemente alle prime due, che affonda le sue radici nelle rivendicazioni operaie della seconda metà dell’800 per le otto ore lavorative, quando alla nuova classe padronale nata dal dissolvimento del mondo feudale faceva comodo l’asservimento di lavoratori senza diritti e senza garanzie. Si trattava di festeggiare una conquista oltre che economica anche sociale che dava centralità alla contrattazione di una forza (forza lavoro) per un guadagno altrui, anche se in una sperequata reciprocità di convenienza: quanto basta per l’operaio, profitto per il padrone. Tante le lotte, tante le vittime per un traguardo che dava il senso della provvisorietà nella dinamica della storia, come tappa di un’emancipazione totale in una società senza più classi. Era questo l’obiettivo ultimo di un processo rivendicativo che voleva procedere con gradualità o con strappi immediati, costruendo attorno al lavoro la cultura egemonica di una società in cui si sarebbe chiesto “da ciascuno secondo le sue possibilità” e si sarebbe dato “secondo il proprio bisogno”. Un’utopia per molti e forse anche per la storia, che rispetto alle aspettative del secolo prima di quello passato, ha dato risultati contrastanti e differenziati non solo per la stessa area geografica ma anche per le diverse aree geografiche del mondo. Ma il Primo Maggio è una festa universale dalla ricca America del nord a quella povera del sud, dagli stati ex comunisti alla vecchia Europa, dall’Africa coloniale al sud est asiatico, dal medio oriente alla Cina del capitalismo di stato. Una festa che attraversa le frontiere e si va diramando tra le difficoltà sociali di ogni territorio con la differenziazione a ribasso dei diritti dei lavoratori e di quelli umani, in un villaggio globale aperto soltanto al capitale finanziario e ai virus di nuovo conio. Il lavoro mal retribuito, il lavoro in condizioni insalubri, il lavoro senza respiro, il lavoro come elemosina per non morire, il lavoro che costringe ad emigrare: il lavoro quando c’è. Il primo maggio è una festa comunque e dovunque. Perché come sostenevano Marx e Ricardo, il lavoro dell’uomo è sempre un valore e la società umana non può riprodursi in assenza di esso.  E per ciò l’uomo ha inventato le macchine, ha sviluppato i sistemi produttivi, ha soddisfatto (e nello stesso tempo creato) nuovi bisogni. Ma il primo maggio non è la festa dell’uomo, né la festa della macchina è la festa dei lavoratori che con la macchina avrebbero dovuto garantire sostegno agli uomini: in una società dove tutti lavorano, dall’intellettuale al manovale, dall’imprenditore all’operaio, all’artigiano al contadino; dove lo sfruttamento fisico e mentale avrebbe dovuto trovare l’esilio. Ma l’uomo è lupo per il suo simile diceva Hobbes; e l’invenzione non è stata finalizzata all’uomo ma alla ricchezza, all’accumulo di risorse, alla creazione di sperequazioni e disuguaglianze. Le macchine sono, dunque, valori d’uso in potenza, finalizzate in virtù delle scelte umane. L’elemento attivo nel processo produttivo è solo l’uomo. Anche se l’uomo ha lasciato che la macchina lo umiliasse, lo mortificasse, lo rendesse solo, ancora di più con lo smart working di oggi che lo rende virtuale nei suoi contatti umani e lo imprigiona. Ecco perché molti filosofi ed economisti hanno voluto sollecitare un nuovo umanesimo, attraverso la riaffermazione delle pulsioni umane. Nel vecchio libro Eros e Società, il filosofo Hebert Marcuse, negli anni della contestazione, ha indagato l’origine del disagio nella società contemporanea, opulenta, intrappolata negli ingranaggi dello sviluppo industriale avanzato, descrivendo così i motivi per cui l’uomo è stato costretto ad accettare questa sottomissione e questa nuova forma di alienazione. Sebbene lo strumento che determina l’andamento del progresso resta ancora il lavoro. Per questo hanno lottato le classi subalterne e ne hanno pagato lo scotto. Con gli assassinii e le stragi. Con il carcere e le privazioni. Ma con le idee chiare, che il lavoro non diventasse un feticcio ed uno strumento d’oppressione, e di ossessione. Il lavoro per vivere non il vivere per lavorare come schiavi di vecchio e nuovo conio: non il lavoro alienante, privato di qualsiasi essenza umana. L’individuo diventato piccolo ingranaggio di un sistema produttivo perde la sua personalità, perde sé stesso. Ma se l’uomo arriva a condurre una vita disumanizzata e falsa, come affermava ancora Marcuse, è necessaria una rivoluzione generale che deve partire necessariamente da un “grande rifiuto” del presente. Ed è probabilmente quello che è accaduto, ciò che è stato profetizzato da Marcuse: l’uomo troppo preso dal suo desiderio di onnipotenza sul mondo ha iniziato a vivere per produrre dimenticando il senso della sua stessa esistenza. Proprio adesso ci si rende conto di quanto sia paradossale il primato dell’economia, mentre il mondo muore con una pandemia. Ci rendiamo conto come l’interesse economico del capitale possa travalicare la difesa della vita umana. In questo momento quindi, in questa festa che trascorreremo dentro le nostre case, la riflessione diventa un obbligo ineludibile, a partire da tutti i lavoratori che salvano vite umane rischiando la propria, a quelli che dovranno lavorare con maggiori accorgimenti di sicurezza (per non aumentare l’eccidio costante delle morti sul lavoro), a quelli che si vedranno imprigionati tra le quattro mura di casa in una perversa quanto folle auto prigionia. Il lavoro dovrà promuovere umanità e solidarietà. Ed “è qui la festa” come diceva una vecchia battuta. La festa di un nuovo mondo che non può essere di classe come non lo è la morte che ci incalza ogni momento».

 

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Un pensiero su “Quell’assurdo primato dell’economia mentre il mondo muore. Riflessioni di Sonia Zaccaria sul Primo maggio

  • Pasquale Carlo Tornatore

    Complimenti, bell’articolo, come ha detto tanti anni fa Edgar Morin serve un nuovo umanesimo, e le teorie della decrescita di Latouche diventano sempre più attuali

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