27 Luglio 2024
L'opinione

Se i negozi chiudono, non è colpa di Amazon. Riflessioni di Danilo Drago

Danilo Drago (foto tratta dal web)

Anche quest’anno, nonostante l’emergenza sanitaria, Natale è tempo di shopping. In questi mesi abbiamo assistito a tante campagne che invogliavano a comprare nel negozio sotto casa o comunque nei piccoli negozi della propria città. E abbiamo sentito tanti appelli e inviti a boicottare la rete o le grandi catene dell’acquisto online, come se non avessero lavoratori e persone che devono andare avanti come tutti. Oggi pubblichiamo un intervento fuori dal coro, scritto da un nisseno che da anni si occupa di web marketing, nella nostra provincia e fuori. Danilo Drago la pensa così:

«I piccoli negozi chiusi per colpa di Amazon?

È vero che il progresso non si può fermare? L’avvento della corrente elettrica avrà danneggiato chi accendeva i vecchi lampioni a mano? E il motore a scoppio, non avrà di certo danneggiato i cocchieri delle carrozze?

Il progresso non si può fermare, ma, nel caso specifico, il negozio online non è il progresso nel campo degli acquisti, ma solo uno dei nuovi canali attraverso cui fare acquisti che si va semplicemente ad aggiungere allo shopping “fisico” nei negozi.

Premetto che sono un cliente dei negozi online, in primis perché mi occupo di e-commerce quotidianamente, poi sono uno di quelli che non acquistano ciò che acquista la massa, sono uno di quelli che nella propria città non trovano merce di proprio gusto, a volte non trovano assortimento, a volte misure, infine, altre volte, reputo i prezzi veramente esagerati rispetto ad una situazione di basso tenore di vita cittadino generale, ma sono anche uno di quelli che preferiscono spendere nei negozi di quartiere, supermercato di quartiere, bar di quartiere, tabaccaio di quartiere, fornaio di quartiere.

Mi piacerebbe acquistare nei negozi della mia città, ma troppe volte, anche per colpa della pandemia, i negozi hanno pochissima roba e se chiedo altro mi viene risposto “lo ordiniamo e arriva la prossima settimana, o forse quell’altra!”

Non provano neanche a suggerire delle alternative perché in magazzino non ce ne sono.

Capisco le difficoltà dei piccoli negozi a fare magazzino, io faccio il possibile e ne giro anche due o tre se mi serve qualche cosa, ma è diventata dura acquistare in loco. Diciamo però ancora una volta le cose come stanno: non è Amazon che ha rovinato i piccoli commercianti. Magari lo hanno fatto i centri commerciali, ma questa è un’altra storia.

Se i negozi chiudono i battenti la colpa non è del web, o di Amazon, o eBay, o uno dei milioni di siti di e-commerce al mondo, ma la miscela esplosiva di diversi fattori:

1: in Italia (questo è il paese che mi interessa, dato che ci vivo) abbiamo un panorama al dettaglio rimasto ancora ad un’era pre-e-commerce, pre-pandemia e pre-recessione dello shopping;

2: la tendenza dei consumatori è comprare meno beni tangibili (una camicia nuova), ma più acquisti “esperienziali” (una cena al ristorante);

3: manca ormai una adeguata presenza di negozi fisici (per fare un esempio tangibile a Caltanissetta non ci sono più negozi di articoli sportivi, se voglio un paio di scarpe Nike, ma proprio quelle Nike che ho visto da qualche parte, devo spostarmi a San Cataldo e non è neanche detto che le trovi).

Proprio questa mattina [Danilo ha inviato il testo mercoledì] avevo bisogno di un paio di cose. Entro nel negozio più fornito di questa categoria merceologica. Chiedo il primo articolo, c’è, ma non hanno il colore giusto (solo blu o nero perché sono quelli che si vendono di più) né la lunghezza che mi serve. Pazienza. Chiedo del secondo prodotto, c’è ma solo nero o marrone, perché tanto gli altri colori non si vendono.

Questo negoziante ha perso un cliente, non ci tornerò più, perché tanto so che non troverò quello che cerco.  Se invece lui avesse avuto in magazzino quello che cercavo, avrebbe già venduto 30 euro di merce in un attimo. E anche se domani dovesse rifornirsi, il cliente è perso.

La mancata vendita di cui sopra, non è di sicuro colpa di Internet.

Continuare a lamentarsi che internet sia brutto e cattivo non è la strategia giusta.

Capisco tutte le difficoltà del caso, ma per me è dura spendere nel commercio locale ed essere d’accordo con chi (di solito è un proprietario di attività commerciale) vede il demonio nel commercio online.

I piccoli commercianti potrebbero (dovrebbero) puntare su qualcosa su cui gli e-commerce non possono competere, i servizi a valore aggiunto, il fattore umano. Se un commerciante non ha un magazzino fornito, non accoglie con un sorriso il cliente e non riesce a fornire un aiuto esperto nella scelta dei beni da acquistare, la colpa non è certamente dell’e-commerce.

Il negoziante di prossimità o di quartiere può e deve combattere internet e centri commerciali dando servizio a valore aggiunto, che passa obbligatoriamente sul valore umano. Se oltre a non avere molto magazzino, non regali nemmeno un sorriso o un aiuto esperto nella scelta, non è internet il problema.

Purtroppo in molti non riescono a sfruttare il capitale umano come leva per battere il web e i centri commerciali e si limitano a lamentarsi, nonostante il valore del capitale umano sia la vera risposta all’e-commerce e ai Centri Commerciali, per chi è in grado di capire, il resto è sovrastruttura.

Se i commercianti leggessero della realtà di oggi sulle statistiche (sono dati pubblici), saprebbero che esistono tantissime categorie di prodotto che sono le regine dei negozi specializzati, delle piccole boutique, delle botteghe. Ci sono prodotti per cui i clienti apprezzano di più l’assistenza all’acquisto, se fatta di sorrisi, disponibilità, aiuto, consigli, proposte alternative, recensioni a voce, esperienze del negoziante, piuttosto che il prezzo o la comodità di comprare su Internet.

Esisteva una falla nel mercato causata da negozianti poco affini al buon vecchio “servizio al cliente”, da commercianti sempre incazzosi, da commessi incapaci di sorridere, addetti che non seguono come si deve la fase di scelta, e proprio in quel buco si è infilato l’e-commerce, alla fine comprare su uno schermo o comprare in un negozio asettico e impersonale, è la stessa cosa, solo che per lo schermo, non serve uscire di casa o cercare parcheggio.

Poi ci sono quelle merci che mi servono immediatamente. Quindi esco, entro in negozio, pago e torno a casa. Se in questa fase ciò che mi serve non c’è e nessuno mi assiste, nessuno mi accoglie né propone nulla, nessuno mi lascia un sorriso, allora sono un cliente perso per sempre.

Se poi le grandi idee di improbabili associazioni di commercianti sono tessere sconti e fidelity card o raccolte punti natalizi, magari brutti ed economici addobbi natalizi, o vetrofanie, meglio rassegnarsi, perché proprio non si è capito nulla di come evolve il mercato, ed ormai si evolve alla velocità della luce.

Il valore del capitale umano è la risposta all’e-commerce e ai Centri Commerciali. Il resto è sovrastruttura.

Inoltre quando si auspica la chiusura dei grandi e-commerce, chi si riempie la bocca, dovrebbe sapere anche che, solo per citare Amazon, dal suo arrivo in Italia nel 2010, ha investito oltre 800 milioni di euro e ha creato più di 3.000 posti di lavoro.

32.000, piccole medie imprese e professionisti hanno sviluppato la propria attività con Amazon Marketplace, Amazon Web Services e Kindle Direct Publishing.

Con il numero dei venditori italiani che usano Marketplace che è più che raddoppiato nel 2016 (+136%) e l’export che ha raggiunto quota euro 250 milioni nel 2016 (165 milioni nel 2015).

Nessuna concorrenza. Se la si sa cogliere quella di Amazon può rappresentare una vera opportunità. Nel complesso, gli artigiani che sfruttano la vetrina Made in Italy hanno visto crescere le vendite in modo significativo (+86%) nel 2017 su Amazon.

Gli elementi necessari alla costruzione di una valida strategia di contrattacco ci sono tutti, il retail può benissimo risollevarsi grazie al supporto dell’e-commerce offrendo ai propri clienti ciò di cui hanno bisogno: prezzi contenuti, buon assortimento, personalizzazione, assistenza e shopping esperienziale».

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