27 Luglio 2024
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Caltanissetta e il suo passato minerario: due chiacchiere con la scrittrice Lucia Maria Collerone

Lucia Maria Collerone (foto tratta da Facebook)

Lucia Maria Collerone vive e insegna da tempo a Caltanissetta ma è una scrittrice ormai affermata fuori dalle anguste mura della provincia. Già nel 2005 ha vinto il Premio Cimitile con il romanzo Lungo il cammino, edito per la seconda volta nel 2018. In tanti, però, conoscono Lucia per il suo impegno sul fronte del superamento della dislessia, tema che fra l’altro affronta nel romanzo 200 giorni, e per le iniziative che ha organizzato in città, rivolte soprattutto a bambini e ragazzi. L’8 marzo di quest’anno uscirà il suo nuovo romanzo, Venti2 volte te, basato sulle storie quotidiane di ventidue donne. Il fatto che le protagoniste dei libri di Lucia siano donne non è una novità. Così è stato per il suo primo successo e così anche per l’ultimo romanzo, L’amore brucia come zolfo, pubblicato per la prima volta da WriteUp Site nel 2017 e giunto alla sua seconda edizione. Il romanzo è ambientato nell’Ottocento minerario di Caltanissetta e la protagonista è una ragazza bella ma povera, Cecilia Didio, nata in una famiglia di minatori col sogno di diventare una principessa. Sono forti i richiami al verismo e il libro si legge tutto d’un fiato anche per la sua struttura ad anello. Siccome la storia di Cecilia e lo sfondo in cui avviene offrono alcuni spunti sul nostro passato e sul nostro presente, abbiamo deciso di rivolgere qualche domanda all’autrice. Chi volesse comunque documentarsi meglio può cliccare sul sito www.luciamariacollerone.it.

Foto tratta da www.luciamariacollerone.it

Il libro è alla seconda edizione e le recensioni sono numerosissime. Se c’è qualche passaggio che ancora mi sfugge sulla fortuna che ha avuto questo romanzo spero che me lo dica tu ora. Però inizierei col chiederti, anche se qualcuno magari lo ha già fatto prima di me, come mai hai deciso di ambientare la storia di Cecilia e del barone Ferdinando proprio nell’Ottocento minerario?

In realtà la storia ha incontrato me e io ho dovuto solo narrarla. È, infatti, una storia vera raccontatami da una persona di famiglia che conosceva personalmente le vicende di Cecilia. Io l’ho solo romanzata contestualizzandola nel periodo in cui è accaduta e aggiungendo alla narrazione fatti che verosimilmente potevano essersi verificati per dare corpo al romanzo.

Secondo te, qualcosa di questo passato si riesce a intravedere nella Caltanissetta di oggi? Se la risposta è affermativa, che cosa?

La storia di Cecilia è un poco la storia di Caltanissetta. Anche lei viene “snaturata” dal barone come è avvenuto per il nostro territorio ai tempi delle miniere, quando i “signori delle miniere” hanno trasformato l’economia della nostra terra, legata al ricco mondo agricolo, in una economia in cui le zolfare trasformavano la terra in un colabrodo, in cerca dello zolfo che ha distrutto tutto ciò che ha toccato. I contadini che avrebbero potuto sopravvivere con i prodotti del lavoro della terra, abbandonarono le loro vite con il sogno di un salario. Come Cecilia persero la loro essenza e vissero una vita da dannati ed estraniante. Ancor adesso paghiamo lo scotto di quella scelta scellerata. Per dare un futuro ai nostri figli li mandiamo lontani da noi, proprio come Cecilia.

Il romanzo mi ha colpito anche per la descrizione accurata degli ambienti: dagli angoli più poveri della casa di Cecilia allo sfarzo delle dimore baronali nessuno spazio rimane vuoto. Ricostruire un ambiente ottocentesco con dovizia di particolari non è cosa semplice. Quanto lavoro c’è dietro alla stesura di un romanzo storico? Qual è stato il percorso che ti ha permesso di generare il tuo ambiente letterario?

Ho impiegato quasi tre anni a studiare quel periodo storico. Libri, documenti, incontri, film, documentari, visite nei luoghi. Un duro lavoro di ricerca, molto attenta e rigorosa.

C’è tuttavia un aspetto di questa ricostruzione che mi lascia un po’ perplessa. Leggendo il romanzo ci si accorge di quanto i personaggi agiscano più per sopravvivere ad un destino già deciso dalla propria condizione sociale che per libera scelta. Nel romanzo entrambe le condizioni sociali dei protagonisti appaiono immutabili, soprattutto quella dei minatori. Eppure gli zolfatari hanno dato vita a movimenti di lotta per opporsi al “destino” della propria condizione. In queste lotte erano coinvolte anche le donne, che si scioglievano i capelli non soltanto davanti ai corpi esanimi dei propri cari morti durante gli scoppi di grisou, ma anche per ottenere più diritti. Nel romanzo niente ci riporta a questa realtà, che è stata la base del nostro progresso, non soltanto economico. Come mai?

Quando si scrive un romanzo bisogna fare delle scelte. Puntare lo sguardo sulla storia che vuoi narrare e io volevo narrare di Cecilia e della vita di enorme sofferenza delle donne in quel periodo. Oramai conosciamo molto della storia dei carusi e dei minatori, ma cosa sappiamo delle loro donne? Non volevo che si dimenticasse la sua storia e ciò che visse. Mi serviva anche per narrare l’oggi. La scelta dolorosa e annientante di tante donne che per salvare i loro figli li spingono oltre i fili spinati, li affidano ad estranei su barche fatiscenti, li consegnano ad altre famiglie. Volevo dare un punto di vista diverso sulla scelta devastante di Cecilia, diversa da quella che la gente che l’ha conosciuta ha avuto nei suoi confronti. Volevo riscattarla dall’ignominia che l’aveva coperta in vita.

Cecilia sposerebbe il barone ma non può, a causa della sua condizione di serva. Il barone terrebbe i figli avuti da lei ma non può, perché entrambi appartengono a due mondi diversi, contrapposti. Alla fine del romanzo, quando Cecilia muore, il barone dispone che le loro tombe siano vicine, in sfregio al suo mondo e “come memoria in tempi in cui l’amore non riusciva a superare ogni ostacolo”. Sicuramente, dall’Ottocento ad oggi, le cose sono cambiate e in meglio, ma possiamo veramente dire che oggi le diseguaglianze siano un problema superato e che non esistano più amori destinati a rimanere nascosti? Secondo te, quali sono le diseguaglianze in cui ci si imbatte oggi più spesso e quali soggetti chiamano in causa?  

Sono sempre le donne l’anello debole.  Penso soprattutto alle giovani donne, o alle donne che non hanno una famiglia che le sostiene e sono costrette a scegliere di perdere i loro figli. Non siamo ancora accoglienti, ma giudichiamo, puniamo e non aiutiamo. Ho nel cuore tutte quelle donne che diventano infanticide perché nessuno ha dato loro un aiuto o a quelle donne che decidono di abortire perché non hanno altre possibilità di scelta e subiscono questo passo.  I rapporti d’amore misti fanno ancora scalpore, ma ancora per poco. Le donne sanno superare gli ostacoli posti all’amore se anche il loro uomo le stringe e lotta con loro e per loro.

E voi siete d’accordo sul fatto che lo sviluppo economico di Caltanissetta avrebbe potuto essere diverso rispetto ai percorsi industriali seguiti a partire dall’Ottocento? Quali sono le principali diseguaglianze di oggi? Dite la vostra!

 

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